La prima ed unica moto Lamborghini: un flop della gestione francese

La prima e unica motocicletta Lamborghini che doveva entusiasmare, ma fu il passo falso della fortunata gestione Mimran

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Alex Ricci

Divulgatore di motociclismo

Romagnolo classe 1979, scrittore, reporter, divulgatore appassionato di moto, storia, geografia, letteratura, musica. Adora Junger, Kapuściński, Sting e i Depeche Mode.

Per uno come Ferruccio Lamborghini, che da costruttore di trattori decise di confrontarsi con il grande Enzo Ferrari, producendo auto supersportive in grado di competere con il cavallino, ogni sfida è sempre stata aperta. Quello di produrre la prima e unica storica moto del marchio Lamborghini, è un esperimento risalente ad un periodo della casa bolognese in cui il suo fondatore non era più titolare di quel miracolo che era riuscito a fare nel settore automobili.

A causa della crisi finanziaria in cui versava la Lamborghini, nel 1980 l’azienda finì in liquidazione e l’offerta di tre miliardi e mezzo di lire che il suo fondatore propose per riprendersi tutto, fu superata dai fratelli Patrick e Jean-Claude Mimran che offrirono trecentocinquanta milioni in più. Fu un fatto positivo per la fabbrica, che nel 1981 riprese la produzione a pieno ritmo e tra i vari lavori, ricominciò lo sviluppo della richiestissima Countach, iniziò la produzione della Jalpa e il perfezionamento di un modello fuoristrada pensato ad uso civile denominato LM002.

Con l’ingresso della proprietà francese, in campo automobilistico era ripreso tutto alla grande e la principale evoluzione fu l’introduzione del sistema a quattro valvole per cilindro sui potenti e aggiornati V12. Un altro grande successo arrivò dal comparto nautico, per il quale Lamborghini aveva messo a punto un motore marino di 7.000 cc che ottenne molte vittorie in competizioni sportive. I capitali portati dalla nuova gestione avevano rimesso in sesto l’azienda che godeva di ottima salute.

Dati i positivi riscontri in tutti i settori, Patrick Mimran tentò la via delle due ruote e fece progettare una motocicletta Lamborghini, da realizzare inizialmente in cinquanta esemplari e che avrebbe dovuto conquistare il pubblico con un look avveniristico. Il motore però non uscì dalle linee di Sant’Agata Bolognese, ma come base di partenza del progetto furono utilizzati i quattro cilindri Kawasaki dei modelli ZX 900 e RX 1000. In quegli anni le moto di Akashi erano apprezzate come oggi, per la loro potenza e affidabilità, ma soprattutto in Francia godevano di grande considerazione nei campionati endurance con vari team transalpini.

In compenso, al design ci pensò Thierry Henriette della Boxer Bike, specializzata in moto da corsa, mentre il telaio in alluminio fu progettato da Claude Fior. Una certa ricercatezza completava alcune parti come le pinze dei freni placcate in cadmio derivanti dalle auto e la strumentazione di bordo incastonata in un guscio di carena che copriva il manubrio fungendo da cruscotto.

Nel 1986 uscì quindi la Lamborghini Design 90. La sua livrea, in controtendenza con le automobili, non comunicava leggerezza e sportività, ma piuttosto ne appesantiva la forma con una carena avvolgente che non lasciava intravedere nulla delle parti meccaniche oltre alle ruote e lo scarico. Tendenza di allora, anche il grosso codone monoposto era un tutt’uno con la sovrastruttura, che nell’insieme ricorda la Ducati Paso o le Bimota Tesi 1D e DB1. La scelta dei fanali tondi, nascosti dietro ad un plexiglass trasparente per questioni di aerodinamica, stonava un po’ con tutto il concetto estetico. Anche il rapporto peso potenza era svantaggioso e con 100 Cv a spingere una moto da 180 Kg, non sarebbe stata tra le più veloci del suo segmento.

Dei cinquanta pezzi previsti per iniziare, le fonti dichiarano che ne siano stati realizzati effettivamente sei di cui solo cinque verificati. Nonostante il prestigio e la cifra non proibitiva per acquistarla, che si aggirava sui 13.000 dollari dell’epoca, questa moto non piacque da subito. Era in effetti una moto francese che sfruttava il marchio della proprietà che l’aveva commissionata e con cui condivideva veramente poco a livello tecnico, risultando un incrocio tra una Kawasaki e un allestimento originale.

Nel 1987, praticamente un anno dopo la realizzazione della Design 90, i fratelli Mimran cedettero la Lamborghini al gruppo Crysler, concludendo improvvisamente la parentesi francese di una delle aziende di supercar più apprezzate del mondo. Da quell’esperienza di metà anni ’80, non si è mai più tornati sul tema moto e passata nelle mani di Audi, Lamborghini ha continuato ad affermarsi in ciò che di meglio ha sempre saputo fare. Tra il 2020 e il 2021 però, dalla collaborazione con un’altra azienda bolognese come Ducati, è stata prodotta una serie limitata della Diavel 1260 “Lamborghini”, disponibile in 630 esemplari, per i quali i disegnatori di Borgo Panigale si sono ispirati alla Sián FKP 37.