La prima grande moto da viaggio della storia con il controllo di trazione

Con la filosofia di essere una vera viaggiatrice, è stata la moto pensata da Honda per attraversare una nazione intera in un giorno senza sfiancare il motociclista. Ricca di stile e piccole innovazioni, ha introdotto il controllo di trazione nelle motociclette di serie.

Foto di Alex Ricci

Alex Ricci

Divulgatore di motociclismo

Romagnolo classe 1979, scrittore, reporter, divulgatore appassionato di moto, storia, geografia, letteratura, musica. Adora Junger, Kapuściński, Sting e i Depeche Mode.

Non esiste una moto migliore, ma quella con cui ci si trova meglio, si passa più tempo e ogni occasione è buona per usarla al posto dell’auto, dai più semplici spostamenti casa-lavoro, ai lunghi viaggi per le vacanze. E’ quello che pensava anche Loris, un mio amico titolare di un’autofficina e appassionato di moto, che nella vita aveva guidato ogni sorta di modello sportivo, dalla Honda VF 750 degli anni ottanta, al CBR 900, passando poi a Yamaha YZF R1 e successivamente Ducati 1198. Un amante della velocità che per far rendere al meglio questa vena corsaiola, frequentava le piste dando libero sfogo alla propria indole e ai tanti cavalli a portata di polso.

Poi, in tempi non sospetti, arrivò nel garage di Loris una Honda Pan European ST1100A a segnare per sempre un periodo della sua vita di motociclista. “E’ la moto che mi sono goduto di più”, disse un giorno. Presentata alla fine del 1989, era elegante, ma ciò che più mi conquistava era lo stile turistico accattivante della moto che Honda aveva pensato per i lunghi viaggi e osservandola, nella mia mente si accorciava ogni distanza.

Dotata di un robusto quattro cilindri a V di 90° DOCH 16 valvole posizionato trasversalmente rispetto all’asse della moto (come il V2 Moto Guzzi per intenderci), sviluppa 101 Cv di potenza a fronte di una cilindrata di 1.084 cc, per un peso complessivo di 317 kg. Nell’epoca in cui prendeva piede l’iniezione, la scelta di alimentare il motore con quattro carburatori Keihin da 34,5 mm è risultata vincente, mentre la trasmissione finale a cardano è l’aspetto meccanico sinonimo di turismo e lunghe percorrenze su due ruote, senza troppe preoccupazioni.

Pur non essendo una moto leggera, le prestazioni sono valorizzate da una ciclistica in grado di renderla agile e guidabile in tutte le condizioni. All’origine del peso, oltre al massiccio propulsore, c’è il telaio in acciaio a culla piena, supportato da una forcella a Showa da 41 mm con sistema anti affondamento (TRAC) e monoammortizzatore con regolazione dell’escursione e del precarico della molla, sempre Showa.

Questa struttura conferisce al mezzo un’eccezionale stabilità in curva anche a velocità sostenute, ma la vera innovazione epocale è il controllo di trazione TCS, che oggi tutte le case costruttrici strillano ai quattro venti, ma che prima di diventare una consuetudine sulle supersportive, è stato introdotto per la prima volta sulla Pan European. Seppur nuovo e pioneristico, il controllo, unitamente all’ABS (presente dal 1992), funzionava già egregiamente e in maniera molto fedele ai più moderni meccanismi utilizzati dalle moto odierne. I cerchi a tre razze in alluminio montano una copertura da 18’ all’anteriore nelle misure 110/80, mentre al posteriore, con un raggio di 17’, la gomma è 160/70.

Oltre all’aspetto tecnologico, assolutamente avanzato per i primi anni novanta, tanti accorgimenti come la manopola di regolazione dell’altezza dei fari anteriori posizionata sul cruscotto, o la maniglia a scomparsa sul lato sinistro per facilitare l’operazione di salita sul cavalletto centrale, sono solo alcune della qualità che hanno reso l’ST1100A, una principessa delle strade.

Il lato pratico è messo in risalto dagli specchietti retrovisori bassi, posizionati all’altezza normale degli indicatori di direzione integrati e favoriscono una maggior visibilità posteriore. Le borse laterali sono ancor più pratiche poiché si sganciano facilmente e per la forma, si maneggiano come un qualsiasi bagaglio da viaggio. Immaginate di arrivare in aeroporto, posteggiare e sganciare la vostra valigia che potete imbarcare a mano sul volo, o di arrivare a destinazione e fare il check-in presso l’hotel con l’esercizio di una comune borsa.

La strumentazione di bordo è semplice, ma completa. Nel quadro, infatti, vi sono orologio, indicatore carburante, contachilometri, contagiri e tachimetro. Il comfort è un punto imprescindibile della Pan European e lo si capisce subito dall’ampio parabrezza sagomato, capace di deviare il flusso dietro al casco del motociclista e una carena avvolgente che, come il vento, non teme una giornata di pioggia o il classico temporale estivo e protegge gambe e piedi.

Nascosti da due pinne in materiale plastico, ci sono le barre in ferro che proteggono carena e motore da un’eventuale caduta a bassa velocità. La sella è ampia e permette al passeggero di viaggiare comodo e in sicurezza. Un altro segreto per rendere una moto turistica la vera paladina dei viaggiatori è l’autonomia. Con un serbatoio da 28 litri, si possono percorrere circa 400 km prima di fermarsi per il rifornimento. Un vantaggio che i maratoneti delle autostrade conoscono bene.

Uscita di produzione nel 2002, è stata sostituita con la versione aggiornata e salita alla cilindrata di 1300 cc. In sostanza, Honda ha vinto la sfida di costruire una motocicletta che fosse l’alternativa migliore all’automobile. In grado di servire alle esigenze quotidiane, con la Pan European si poteva e si può ancora, affrontare qualsiasi viaggio con la stessa facilità con cui si va a comprare il pane o al bar dagli amici. Il mio amico Loris ha viaggiato in Normandia, Bretagna e nella Loira con moglie al seguito e ancora rimpiange di averla venduta. Nella gamma Honda di quegli anni si colloca al centro di una serie di sport-touring che hanno avuto fortune diverse e di cui varrebbe la pena parlare, ma questa è un’altra storia.