La prima e unica moto di Fiat che stupì il mondo

Un esempio di eleganza e tecnologia di fine anni '40, che non è mai stata prodotta. La Fiat e la sua Moto Major, campionessa di bellezza

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Alex Ricci

Divulgatore di motociclismo

Romagnolo classe 1979, scrittore, reporter, divulgatore appassionato di moto, storia, geografia, letteratura, musica. Adora Junger, Kapuściński, Sting e i Depeche Mode.

Ci sono marchi storici come BMW, Honda e Suzuki, che si collocano da anni sia nel settore automobilistico sia in quello motociclistico. Industrie che, al fianco di una tradizione automobilistica di primissimo livello, vantano motociclette molto apprezzate. Ma quali case con un’intensa produzione di auto non sono riuscite a sfondare nel settore delle moto? Pur avendo tutte le tecnologie e le qualità per riuscirci, una di queste è stata la Fiat.

L’azienda torinese progettò una moto molto speciale, il cui prototipo è considerato ancora oggi un vero capolavoro: la Moto Major. Il nome deriva da Salvatore Maiorca, un ingegnere aeronautico al servizio della Fiat che, già prima della Seconda Guerra Mondiale, era specializzato nella realizzazione di carrelli d’atterraggio per aeroplani. Come la stragrande maggioranza delle industrie, dopo il conflitto, anche per il Lingotto si manifestò la necessità di riconvertire la produzione bellica.

Eleganza e tecnologia

Uno dei primi argomenti presi in considerazione fu proprio la motocicletta progettata da Maiorca che venne presentata nel 1947 alla Fiera di Primavera di Milano. Costruita nelle officine Aeritalia del gruppo Fiat, era un esempio di design e tecnologia, caratterizzata da una carenatura avvolgente che nascondeva il propulsore, parte della ruota anteriore, lo sterzo, includeva il fanale e proteggeva le gambe del guidatore. Dotata di monoscocca in acciaio, il sistema sterzante era indiretto e si avvaleva di due bracci meccanici che collegavano il cannotto di sterzo al manubrio.

Somigliante, non a caso, ad un carrello aeronautico, la vera innovazione stava nel sistema di ammortizzazione. Priva di qualsiasi molla alle forcelle, il telaio era rigido e ad ammortizzare la corsa ci pensavano le ruote brevettate che, all’interno del cerchio e collegate al mozzo centrale, avevano dodici coppie di cilindretti di gomma come elemento elastico. Tale soluzione permetteva un’escursione di 50 mm, conferendo il giusto rapporto di rigidità.

Provata all’epoca su un banco che simulava la percorrenza di 40.000 km, il sistema mostrò un bassissimo consumo della parti in gomma. Molto elegante e sinuosa, esteticamente non si perdeva in nessun dettaglio, tanto che i due tubi di scarico erano a pinna di pesce appiattita, ma solo uno era funzionante, mentre l’altro manteneva un certo equilibrio estetico. Inizialmente, infatti, la Moto Major doveva essere una bicilindrica raffreddata a liquido, ma scartata l’idea in favore di un monocilindrico da 350 cc raffreddato ad aria, venne conservata l’eleganza del secondo scappamento.

Il motore di un grande ingegnere

Ad occuparsi del motore fu un altro noto ingegnere di nome Angelo Blatto, la cui fama era legata al mondo industriale torinese grazie alla precedente società con Giovanni ed Emilio Ladetto della Ladetto & Blatto le cui moto vinsero il campionato d’Europa a Ginevra nel 1928 e il campionato nazionale nel 1929 nella classe 175 con Alfredo Panella. Sciolta la collaborazione con i fratelli Ladetto nel 1932 Blatto fondò la OMB (Officine Meccaniche Broglia) insieme a Carlo Broglia, ma non ebbero una lunga vita e dopo aver prodotto modelli tutti di 175 cc, chiusero l’attività nel 1935.

Per la Moto Major, Angelo Blatto realizzò, come abbiamo detto, un monocilindrico da 350 cc con raffreddamento ad aria forzata tramite una ventola posta sull’estremità dell’albero motore. Aveva la frizione multidisco a secco e il cambio a quattro marce con un moderno comando a pedale. La trasmissione finale era affidata ad un robusto cardano.

Purtroppo, questa moto non finì mai in produzione così come accadde in un precedente esperimento del 1938, quando venne alla luce un prototipo di scooter. La Fiat decise quindi di non entrare nel mercato delle moto anche dieci anni più tardi, ma la creazione di Maiorca è rimasta una delle migliori opere di design ed eleganza del settore, tanto da ricevere il primo premio del concorso di eleganza al Trofeo BMW Group di Villa d’Este 2018, dedicato alle moto storiche. Quel modello è conservato al Deutsches Zweirad und NSU-Museum.

moto Major
Un modello di moto Major premiata nel 2018 a Villa d’Este con il Trofeo BMW Group dedicato alle motociclette storiche

Un progetto che affascina

Il motivo per cui in quegli anni la più grossa fabbrica di auto italiana non si sia buttata nel settore moto non si può sapere, ma è certo che la Fiat, che spaziava dal settore auto, all’aviazione, passando per macchine agricole e camion, non avrebbe avuto alcun problema ad aprire linee per costruire motociclette.

Alla fine degli anni settanta, un certo Ugo Grandis, ex dipendente della Chrysler Sudafrica, progettò una moto equipaggiata dal motore Fiat della celebre 127, chiamata Shifty. Costruita a Busa di Vigonza (PD), questo veicolo sfruttava parti di altre moto adattate allo scopo di contenere il massiccio 903 cc di derivazione automobilistica e ne furono prodotte una settantina tra il 1977 e 1982. L’idea bizzarra, quanto suggestiva, era quella di un possessore di 127 che, desiderando anche una moto, avrebbe potuto acquistare una Shifty senza motore e spostare quello della sua automobile all’occorrenza.