Venerdi 12 dicembre a Milano si sono festeggiati i 20 anni del Chapter milanese degli Hell’s Angels, primo Chapter italiano. 20 anni sono tanti ormai, ma come sempre quando in Italia i media parlano di Hell’s Angels si limitano a farlo in due casi: per raccontare fatti di cronaca oppure per raccontare il fenomeno “di costume” descrivendoli sempre come una strana tribù di indiani metropolitani con giubbotti di pelle che vivono in base ad autoimposte regole di onore e rispetto. Insomma, come spesso succede quando il mondo biker incontra i media, il contributo a capire la scelta di persone che vivono in modo profondo e radicale lo stile di vita biker è nullo se non dannoso.
Gli Hell’s sono un fenomeno che attraversa tutta la storia americana dal primo dopoguerra in poi, con una coerenza rispetto ai propri valori e principi che non ha uguali non solo nel mondo motociclistico e con un determinante contributo a tutta la Kustom Kulture.
Da un punto di vista puramente stilistico, gli Hell’s sono tra i primi a spogliare le Harley di tutte le sovrastrutture per costruire i primi bobber negli anni ‘50 ed è sempre dal loro mondo che arrivano oggi quei Dyna che vengono definiti “Club Style”: neri, ribassati e cattivissimi, con scarichi thunderheader e cupolini a proteggere drag-bar montati su raiser alti (insomma, le moto che si vedono nella serie “Sons Of Anarchy”).
Sono il Moto Club (MC) da cui la AMA (Associazione Motociclistica Americana) prese le distanze dopo le prime esuberanze divenute fatti di cronaca nell’America bigotta di fine anni ’50 dichiarando che il 99% dei motociclisti americani erano persone per bene. Questo passaggio diede il via all’epica dei club “ 1%er” ovvero composti da quell’1% di motociclisti che si autodefiniva orgogliosamente fuorilegge.
Gli Hell’s hanno percorso la storia della cultura popolare degli Stati Uniti portando un grande contributo soprattutto nel periodo più creativo degli anni ’60 e determinandone alcuni passaggi storici, come la fine dei grandi happening musicali all’insegna del “peace and love” nel 1969, a seguito della morte per accoltellamento di uno spettatore di colore al concerto degli Stones al Altamont Speed Raceway, dove gli Hell’s erano presenti come Security sotto il palco e per cui alcuni di loro furono incriminati. A volte attori, altre testimoni della storia popolare americana del secondo ‘900, ne fecero parte non interpretando mai in un ruolo assegnato da altri.
La loro storia è profondamente legata alla figura carismatica di Sonny Barger, padre fondatore degli HA di Oakland, da dove il club mosse i suoi primi passi nel ‘57.
Un uomo che ha saputo guidare nei decenni di grande luce come in quelli di profonde difficoltà il Club del teschio alato, fino a renderlo un marchio riconosciuto a livello mondiale senza perdere un briciolo della propria radicale diversità rispetto a qualsiasi logica commerciale che avrebbe potuto diluirne i valori, acquisendo invece sempre più forza proprio grazie all’esempio della coerenza mantenuta nel tempo.
Il rapporto “delle persone normali” verso chi indossa con orgoglio i colori del teschio alato è sempre stato pieno di contraddizioni: il timore si è sempre mescolato all’invidia per il senso di primordiale libertà che esprimono in modo naturale. Mentre venivano trattati da reietti e inseguiti dalle autorità giudiziarie, il cinema li celebrava e lo star-system e li corteggiava sfruttando l’aura che la loro fama e il loro stile regalava di riflesso a chi si accompagnava a loro… e loro hanno saputo mescolarsi con tanti mondi lontani dai loro principi, senza mai perdere l’originale purezza.
Non ho molto da raccontare sul Chapter milanese perché non conosco personalmente nessun membro, ma ho alcuni ricordi legati al loro percorso. Ricordo i Redskins MC negli anni ’90 prima che diventassero Hell’s e ricordo per quanto tempo li ho visti al Sunset Pub in compagnia di membri di Chapter HA stranieri che venivano a valutare se il loro gruppo sarebbe stato in grado di portare i colori bianchi e rossi. Ricordo anche che furono i più veloci in Europa a prendere i colori e posso solo immaginare quanto sia stata dura. Ricordo infine con quanta deferenza e rispetto vidi l’intero popolo biker accogliere a Milano Sonny Barger nella sua visita. Vidi persone portare dei doni fatti con le proprie mani e fu qualcosa che mi colpì molto perché non ho mai più visto fare una cosa del genere se non all’interno del proprio nucleo familiare. Era il segno tangibile del riconoscimento della sua figura come vero padre spirituale per chi ha scelto un certo stile di vita e di valori.
Fatevi un regalo se volete capire: leggete il libro “Hell’s Angels” di Sony Barger, è un libro bellissimo in cui si percepisce chiaramente il profondo legame tra gli Hell’s Angels e la cultura motociclistica e quello tra la cultura motociclistica e la cultura americana. Vi darà una prospettiva diversa su tutto quello che vuol dire “custom” nel senso più ampio del termine.
Gli Hell’s Angels sono un mito fondante della cultura Custom, la loro è una storia bellissima e selvaggia che merita di essere conosciuta e lasciate ai media o a chi non capisce la brutta abitudine di giudicare.