Una vecchia Fiat Panda protagonista dell’incredibile avventura

Il racconto di Jean Samuel, che con la sua Fiat Panda nel 1993 ha attraversato il deserto in Marocco tra mille difficoltà e peripezie

Foto di Laura Raso

Laura Raso

AUTOMOTIVE SPECIALIST

Cresciuta nel paese della Moto Guzzi, coltiva la passione per i motori e trasforma l’amore per la scrittura in lavoro, diventando Web Content Editor esperta settore automotive.

Conoscete già tutti Jean Samuel Rostan, il giovane ragazzo che abbiamo intervistato mesi fa, che aveva preparato la sua mitica Fiat Panda “vintage”, trasformandola in un vero e proprio camper in cui trascorrere vacanze fuori porta. Oggi ancora lui, insieme al suo amico Andrea Allasia, è partito per una missione che ha quasi dell’incredibile.

Sembra proprio che la mitica Fiat Panda anni 80-90 sia la sua passione. Jean Samuel infatti ne ha comprata un’altra insieme al suo socio e l’ha trasformata nell’auto da rally con cui i due hanno partecipato al Panda Raid 2022, una corsa nel deserto che attraversa il Marocco.

Un’esperienza incredibile, tra dune e immense distese di sabbia, a cui i due ragazzi hanno deciso di iscriversi con entusiasmo. Sono riusciti a tagliare la riga del traguardo, ma più del risultato, quello che conta è l’esperienza vissuta insieme al suo compagno di avventure. Tappe e prove speciali intense, ma soprattutto prove con se stessi e capacità di adattamento. Il racconto di un viaggio unico, condensato in soli cinque minuti ricchi di emozioni e ricordi indelebili. Da non perdere!

Quando siete partiti?

Siamo partiti il 18 ottobre da casa, in auto, con la Panda, per arrivare fino al porto di Almeria, in Spagna, dove c’erano le verifiche tecniche e la partenza in nave. Ci abbiamo messo tre giorni, una tappa in Francia, una in Spagna e poi arrivo ad Almeria (Spagna).

Il viaggio è andato bene, abbiamo guidato per più di 1.500 chilometri, è stata dura ma abbiamo deciso fare una sorta di rodaggio e prendere confidenza con la nostra Duchessa (questo il nome della Panda).

Appena arrivati ad Almeria abbiamo sostituito le ruote anteriori con due ruote nuove che avevamo sul tetto, in modo da essere più sicuri. Lo staff ha fatto i controlli al porto di Almeria, prima di partire in nave. A ognuno è stato poi consegnato il numero di gara.

La mattina seguente siamo saliti sulla nave che ci ha portati al porto di Nador in Marocco, la traversata è durata 7/8 ore. La prima cosa che abbiamo fatto una volta arrivati è stata l’assicurazione perché la nostra non copriva il Marocco, come la maggior parte delle altre.

Pensavamo di arrivare in un ufficio vero e proprio, invece il luogo era davvero insolito: un baracchino, una sorta di prefabbricato minuscolo posto dietro una recinzione. La pratica veniva fatta lì al momento, abbiamo passato i soldi sotto la rete, e da lì ci hanno passato il foglio a mano. Come primo impatto in Marocco… molto strano.

Per poter partecipare al Panda Raid l’auto doveva essere revisionata e assicurata, assolutamente. C’è un regolamento da seguire, perché si deve comunque circolare su strada in Marocco. Con le nostre Panda abbiamo fatto tantissimi chilometri nel traffico urbano quindi le macchine potevano essere modificate, ma “legali”.

Panda Raid: partenza
Fonte: Jean Samuel Rostan
Panda Raid: partenza al porto

Una volta fatta l’assicurazione ci siamo spostati e abbiamo cercato un posto per fare una SIM telefonica. Abbiamo conosciuto due ragazzi con cui poi abbiamo trascorso tutto il resto dell’esperienza. Con loro siamo andati in un negozietto di alimentari a comprare la SIM e una volta usciti da lì abbiamo incontrato la nostra prima difficoltà vera.

Arrivati in Marocco avremmo dovuto recarci immediatamente al primo accampamento, invece ci abbiamo messo molto tempo a fare le SIM e quindi siamo arrivati tardi rispetto agli altri, che si sono allontanati tutti insieme.

Ci siam ritrovati da soli con gli altri due ragazzi a seguire il road book per la prima volta per raggiungere l’accampamento, ci siamo persi tante volte, non riuscivamo a orientarci in piena notte nel centro di Nador. Tutti erano all’accampamento e noi dispersi nel nulla senza sapere dove andare.

Come inizio è stato molto duro, ma siamo riusciti a trovare la strada, e in realtà questa grande difficoltà ci è servita parecchio poi: abbiamo imparato subito a seguire la road map alla lettera, senza accodarci alle altre auto in gruppo.

Siamo arrivati all’accampamento e abbiamo cenato, montato la tenda e riposato, pronti per la prima tappa del giorno seguente.

Com’era organizzato l’accampamento ogni sera?

Ogni fine tappa ci attendeva un accampamento, all’interno c’era la zona per le tende – molto ampia. Era tutto bello e ben organizzato: nei tendoni c’erano le cucine, l’area comune dove si mangiava, i tavoli, il buffet e il grande fuoco, dove ci si riuniva come una bella comunità. C’era la zona bagni con le docce e tutto il necessario, come in un campeggio. L’organizzazione ci ha colpiti parecchio.

Ero molto curioso di capire come funzionasse l’acqua calda nel bel mezzo del deserto, nel nulla completo: ho scoperto che c’era un camion con una cisterna enorme d’acqua e un boiler a legna gigante che la scaldava col fuoco a legna. C’era l’acqua calda come a casa. Tutto era costruito sulla terra, su cui erano distesi tipo 500 tappeti, che creavano un’atmosfera molto accogliente.

Come funzionava il road book?

Era la mappa che ci ha permesso di orientarci durante tutto il Panda Raid. Un libricino al cui interno era segnata la tratta – punto di partenza e arrivo per ogni tappa – i chilometri totali, l’orario di partenza.

Sul road book c’era poi tutto il percorso che dovevamo fare in maniera schematica, con simboli e legenda. La partenza era segnata col numero zero, dovevamo seguire le svolte man mano con l’aiuto di un trip master.

Panda Raid: il road book
Fonte: Jean Samuel Rostan
Il road book e gli strumenti usati durante il Panda Raid

Che cos’è il trip master?

Si tratta di uno strumento/applicazione che conta l’avanzamento in metri. Noi usavamo il telefono, si partiva da zero, e il trip segnava le svolte ogni tot. metri. Quando sul trip master arrivavamo ad aver percorso i metri previsti dal road book, allora dovevamo svoltare. Ad ogni tappa azzeravamo il parziale, mentre l’avanzamento totale continuava. Questi due strumenti erano gli unici che ci permettevano di capire dove andare e quando svoltare nel bel mezzo del deserto. Non è stato per niente facile, le svolte non erano chiare, senza punti di riferimento.

Qual era il regolamento da rispettare?

Tutti avevamo un GPS, che non ci permetteva di navigare ovviamente, ma solo di monitorare la posizione ovunque fossimo. Anche lo staff poteva vederci in qualsiasi momento, per una maggior sicurezza.

C’erano dei limiti di velocità specifici da rispettare: imposti dalla legge (30 km/h centri urbani) o imposti dal regolamento; erano scritti sul road book. Si tratta di una gara di regolarità e non di velocità, non bisognava mai sforare le velocità inserite e gli orari previsti dal regolamento, per non perdere punti.

In cosa consistevano le prove speciali?

All’interno di ogni tappa c’era una prova speciale da affrontare, sempre di regolarità e non di velocità, e di lunghezza variabile da 15 a 30 km.

La prova speciale consisteva nell’arrivare dall’inizio alla fine di quei 15/30 chilometri non nel minor tempo, ma avvicinandosi più possibile ai tempi stabiliti dallo staff, che però non erano scritti. Noi, per provare a raggiungerli, dovevamo procedere per settori a una serie di differenti velocità medie segnalate: ad esempio guidare per un chilometro in media a 30 km/h, per altri 200 metri a 55 km/h e così via. La difficoltà stava nel riuscire a tenere la velocità media scritta per ogni settore, la concentrazione era altissima.

Quali erano le maggiori difficoltà e quanto guidavate ogni giorno?

Si passava dall’asfalto allo sterrato, per arrivare ai fiumi in secca e alla sabbia. La difficoltà è stata man mano graduale, tappa dopo tappa.

Ogni giorno dovevamo guidare tra i 180 e i 400 chilometri, i tempi limite di percorrenza da rispettare per non perdere punti erano differenti. In genere guidavamo tra le 9 e le 10 ore al giorno. I paesaggi ci hanno lasciato davvero di stucco, immense distese senza alcun riferimento.

Siete mai rimasti insabbati?

Siamo rimasti insabbiati una volta sola, stavo guidando io ed eravamo in un fiume prosciugato, su un terreno che alternava sabbia, sassi, dune e avvallamenti. In un secondo, dopo una curva, mi sono ritrovato a sprofondare nella sabbia. Abbiamo dovuto agganciarci con una corda a un’altra Panda per riuscire a uscire da quella situazione.

E infine: c’era solidarietà tra i partecipanti?

C’era un po’ di tutto, tanti aiutavano e c’era solidarietà, anche noi abbiamo aiutato una macchina in difficoltà poco dopo il nostro “incidente”. È stato molto bello darsi una mano, ma non tutti la pensavano così: chi partecipa per vincere non ha alcuna intenzione di perdere tempo, anche se da regolamento bisognerebbe sempre fermarsi e dare aiuto a chi si trova in difficoltà.

Continuate a seguire le avventure di Jean Samuel sul suo profilo Instagram e a vedere i video sul suo canale YouTube.