Fiat 126, la storia di un piccolo mito italiano

Andiamo a scoprire la storia della Fiat 126: la sua evoluzione nel corso degli anni e tutte le curiosità di questa vettura che ha segnato il settore delle automobili italiane nel mondo

Chi non ricorda la Fiat 126? Era il 4 luglio del 1957, quando la Fiat propose sul mercato la Nuova 500, nel pieno del boom economico. Pochi anni dopo, nel 1972 al Salone dell’automobile di Torino, l’azienda lancia la Fiat 126.

Si trattava di un’utilitaria pensata per chi voleva muoversi con un’auto più piccola e maneggevole, dai consumi limitati. Inizialmente la macchina non raggiunse però grandi consensi. L’anno successivo la 126 raggiunse la Polonia, sede della prima fabbrica all’estero della Fiat.

Questo nuovo insediamento andò progressivamente a sostituire la produzione italiana della Fiat 126 a partire dal 1979. La nuova macchina si distingueva dalla Fiat 500 per gli interni più spaziosi e un numero maggiore di cavalli (23 contro i 18 della 500).

Saranno anni di grandi sperimentazioni e personalizzazioni, come i modelli 126 Personal e Personal 4 650, contraddistinti dai loro paraurti plastificati e nuovi disegni sui cerchi. Nel 1987 venne inserito un propulsore bicilindrico di 700cc, raffreddato ad acqua ed inserito nella zona posteriore dell’auto, in posizione orizzontale.

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Questa nuova versione prenderà il nome di 126 Bis, grazie all’ampio bagagliaio posto sopra il vano motore, ideale per riporre la spesa e gli attrezzi, da vera utilitaria. A partire dal 1991, in Italia la 126 non venne più messa in vendita, mentre continuerà ad essere un fiore all’occhiello in Polonia, dove uscirà una terza versione, la 126 Maluch.

L’ingegneria meccanica della Fiat deve tutto a Dante Giacosa, il quale grazie al sistema di raffreddamento ad aria, aveva ovviato alla necessità di un radiatore, della pompa acqua e delle condotte esterne. La Fiat 126 riusciva a toccare i 110 Km/h e rispetto alla 500 presentava notevoli migliorie.

Il serbatoio del carburante era stato spostato dal vano anteriore a quello posteriore, sotto il sedile. Con l’introduzione dei freni a tamburo più grandi sulle ruote anteriori, l’impianto frenante venne diviso in assale anteriore e posteriore.

Venne inserito il cambio a 4 marce sincronizzato dalla seconda alla quarta e fu tolta la doppietta. Il vecchio dinamo della batteria lasciò il posto all’alternatore. Anche dal punto di vista della carrozzeria, l’ auto era in grado di resistere meglio agli urti frontali.